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Giacomo Oddero

Giacomo Oddero

Giacomo Oddero, classe 1926, vanta una lunga esperienza nella vita amministrativa, essendo stato sindaco di La Morra, presidente della Camera di Commercio di Cuneo, assessore all’agricoltura della Provincia di Cuneo. La sua testimonianza inizia dalla seconda guerra mondiale, quando il popolo langhetto, di indole pacifica, si trovò suo malgrado coinvolto negli eventi bellici e nella conseguente lotta partigiana. Terminato il conflitto, che aveva lasciato danni immani, c’era voglia di ricominciare daccapo, un grande entusiasmo, poco alla volta è arrivata la ricostruzione. Sottolinea che l’emigrante era uno che aveva fallito anche se andava a stare meglio, mentre chi è rimasto attaccato alla terra ha cominciato una rivoluzione silenziosa nella Langa Bassa, dove uno dei problemi più sentiti era la mancanza dell’acqua, non essendoci nessun acquedotto rurale.Ricorda che come sindaco, carica che ricopriva gratuitamente, di aver trovato molto rispetto per l’autorità costituita. Istituì negli anni Settanta il trasporto degli alunni dalle frazioni distanti alcuni chilometri, con due vecchie automobili, prendendo spunto da quanto avveniva in America con gli scuolabus. Si oppose alla costruzione del condominio di La Morra, ma alla fine dovette cedere, non essendoci un piano regolatore che lo impediva. Progettò anche di creare il parco delle Langhe, che avrebbe evitato tanti obbrobri, anche se il territorio langarolo non è stato martoriato dall’edilizia come quello ligure. Uomo di battaglia, democristiano ed estimatore di De Gasperi, sottolinea che rispetto ad oggi c’era più rispetto reciproco, anche perché si usciva da un ventennio di dittatura e oppressione. Passando all’esperienza di assessore provinciale, evidenzia che attivò varie iniziative in favore dell’agricoltura, quali la valorizzazione del porro di Cervere, ideando una sagra che è oggi molto rinomata. Promosse riunioni in molti comuni per affrontare i problemi della vitivinicoltura, combattere le speculazioni legate al Moscato, indirizzare i viticoltori a vinificare in proprio, creare un “interscambio” fra Barolo e Barbaresco. Sottolinea che in provincia di Cuneo non ci sono mai stati grossi scandali, ma senso della famiglia, del rispetto reciproco, della parsimonia; la gente ha l’ambizione per la propria casa, semplice e ordinata. Sottolinea che nella vitivinicoltura occorre un giusto equilibrio fra tradizione e innovazione: ad esempio pigiare l’uva con i piedi è meno efficace che con le macchine. Innovazione significa che se si deve produrre il Barolo con le sue grandi virtù e i suoi piccoli difetti; è un vino unico, non di un anno o due, per affinarlo ci vogliono sino a 10 anni, non bisogna alterarne il gusto perché diventi più gradevole.Il vino rappresenta per Giacomo Oddero il luogo dove nasce, la cantina dove viene vinificato, l’uomo che lo lavora. Non è solo gusto, occorre apprezzare l’impegno profuso. Sostiene che bobbiamo insegnare a bere poco e bene, al momento giusto, in compagnia. Il suo più grande orgoglio è essersi impegnato per dieci anni per l’acquedotto delle Langhe, facendo accordi per far passare le condutture; un lavoro immane che comportò la posa di 450 km di tubature per far arrivare l’acqua in tutti i paesi della Langa. Parlando del tartufo bianco italiano detto d’Alba o di Acqualagna, Giacomo Oddero sottolinea che è sempre stato un elemento importante della gastronomia fin dall’epoca greca e romana e poi attraverso il Medioevo. Furono gli albesi che per primi seppero valorizzarlo, creando una grande manifestazione internazionale, e portandolo ad essere un’eccellenza della gastronomia mondiale. Ricorda che il Centro studi del tartufo d’Alba ha predisposto una petizione alla Comunità europea affinché richieda al parlamento una legge sulla trasparenza del prodotto e che l’OIAT (organizzazione internazionale assaggiatori tartufi) ha creato la scheda del tartufo, come quelle per il vino e i formaggi, che consenta di valutarne le caratteristiche in modo scientifico. Il mito del tartufo è secondo Oddero legato al fatto che non si sa dove cresca, ha un profumo unico, che deriva da un odore; per fare il tartufaio bisogna avere buona salute, gambe ferme, camminare tutta la notte in posti scoscesi. Nei tempi antichi gli agricoltori andavano per tartufi per aumentare la possibilità di sussistenza, vi andavano a tempo perso, i tartufi venivano cercati nei tempi di festa, per essere regalati (in segno di riconoscenza per favori ricevuti), non venivano in genere consumati in famiglia. Chi ha capito l’importanza del tartufo sono stati i grandi chef, portandolo nell’alta cucina piemontese, poi diffusa anche in altre regioni. Parallelamente all’aumento del suo valore è però calata la produzione perché sono diminuiti i tartufai e molte aree tartufigene sono state abbandonate. Il tartufo è secondo Oddero, un prodotto “permaloso”, ha bisogno di un terreno che si adatti a lui, del giusto clima, deve vivere in simbiosi con certe piante, non cresce nel bosco in degrado. Ricorda infine che il tartufo bianco non si riesce a coltivare, mentre per il nero ci sono buone coltivazione in alta Langa e in qualche vallata alpina. 

La Morra (CN), IT Regionpiemonte
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