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Fonte: ICCD - Progetto PACI / MiC – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione ICCD
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Saperi e tecniche

Saperi sulla cultura del tartufo in Piemonte: l'uso del tartufo in cucina

L’“Associazione Nazionale Città del Tartufo” (ANCT), costituitasi nel 1990, ha tra le sue finalità la salvaguardia e la valorizzazione dei saperi e delle tecniche relative al tartufo, al territorio e all’ambiente interessati dalla sua presenza, così come la loro promozione e diffusione in quanto patrimonio culturale immateriale delle comunità locali. L’Associazione ha negli anni creato una rete interregionale nazionale all’interno della quale sono attualmente presenti: Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Affiancando le attività di documentazione e ricerca di centri di ricerca specializzati, le attività didattiche museali e le attività didattiche accademiche, l’ANCT contribuisce alla trasmissione e diffusione dei saperi e delle conoscenze sul tartufo e dei suoi valori identitari culturali e sociali acquisiti nei vari settori di ricerca coordinando attività pubbliche che coinvolgono associazioni, amministrazioni locali e società civile. Dal 2006 l’ANCT inoltre promuove e diffonde un regolamento e riconoscimento dei ristoranti prossimi alle comunità locali del territorio nazionale relativo alle buone pratiche di uso gastronomico del tartufo nella cucina tradizionale regionale e del suo uso secondo criteri di qualità e salubrità. A partire dal 2015 ad oggi l’Associazione ha avviato, con il supporto di antropologi esperti e la partecipazione delle comunità, le attività di catalogazione per inserire saperi e tecniche sulla cultura del tartufo in Italia all’interno dell’inventario nazionale MiBACT. "Da bambino io sì, ricordo che ogni tanto sentivo questi signori che venivano all'osteria parlare di tartufi, perché... 'guarda la trifula, doi chilo', tutte esagerazioni. Ma il cliente vero e proprio che veniva qua a quei tempi non mangiava il tartufo in quanto era già costoso, anche se costava poco. Lo portavano a Torino, a Mocalieri, in zone in cui la gente poteva permettersi di gustare questa prelibatezza. Nel 1955 arrivano i primi turisti, torinesi soprattutto. E quindi dicevano a mia madre: 'Tilde, allora oggi ci fai un buon risotto coi tartufi'. E mia mamma si metteva lì a fare fare il riso di carne e ricordo che metteva meno cipolla per fare poi esaltare il profumo del tartufo. I piatti erano molto poveri. Oppure la lepre al civet, cosa che oggi credo sia andata in disuso col tartufo. A quei tempi la lepre al civet al tartufo era una meraviglia. Oppure c'era un gruppo di signori, sempre di Torino, Milano, da quelle parti, di ricchi, che venivano a caccia in queste zone e al mattino passavano di qui a fare la colazione e immancabilmente... l'uovo al palet con la trifula, questa me la ricordo. Questi signori baffuti, ben messi, ben vestiti, che noi bambini contadini vedevamo molto di rado. Un altro piatto che ricordo col tartufo erano gli agnolotti, cosa che adesso è andata anche in disuso perché gli agnolotti hanno già di per sé un ripieno profumato. Però quelli erano i piatti, risotto, agnolotti, uovo e la lepre. Ma comunque niente di nuovo nel senso che se uno secondo me vuole sentire il profumo attraverso il cibo del tartufo, o lo mette sull'uovo fatto in forme di ceramica perché mantiene bene la cottura senza cuocere troppo ma rimane cotto e crudo diciamo [...], oppure i tajarin in bianco con buon burro, quelli secondo me sono i due piatti. Ecco un altro ricordo, ricordo di Natale, dopo la messa di mezzanotte, c'era sempre il gruppo che già prima diceva a mia mamma: 'Tilde ci fai la carne cruda dopo?' Si portavano loro il tartufo da casa, mia mamma gli preparava un bel piattone insalata di cosce di vitello e si grattavano il tartufo sopra. Questi sono i miei ricordi di ristorante. E tutt'oggi che i forestieri, si parla di tedeschi, svizzeri, ma anche persone del circondario, qui. Allora i miei ricordi... credo sia sempre stato di moda ma soltanto per tavole di ceto elevato, nel senso di denaro. I contadini lo mangiavano, anche sulla bagna cauda, però era raro, perché costando già un pochettino di più rispetto all'uva, alle mele o castagne o noci, e quindi tendevano più a venderlo che non mangiarselo. Il boom del tartufo, perlomeno in questa zona, Langhe, Roero, credo siano stati gli anni Sessanta. Di lì in poi c'è stato veramente un rilancio, poi con la fiera di Alba, con la Fiera del tartufo organizzata dalla Camera di Commercio di Asti, in tante località dell'astigiano, cosa che ha fatto poi tendenza. E quindi in un certo qual modo il tartufaio da semplice contadino trasformato in cercatartufi in un momento di poco lavoro, adesso è diventato quasi un vero e proprio lavoro. Parlando della mia cucina: cerchiamo sempre di mantenere i valori di un tempo, di non mai strafare, pensando sempre che c'è primo qualcuno che è sempre migliore di te, e questo è pacifico. E quindi noi adottiamo questo sistema: la gente ci telefona, o manda un'email: 'Vorremmo il tartufo', noi rispondiamo: 'Quando arrivate, vi facciamo trovare qui il tartufaio, voi lo scegliete, lo pesate, lo pagate a lui, noi ve lo puliamo e ve lo diamo'. Non vogliamo assolutamente fare un guadagno sul tartufo, perché la nostra clientela a distanza di quasi 80 anni di ristorazione è rimasta, praticamente non la stessa perché sono morti quelli prima, ma i nonni, i padri, i figli, i nipoti continuano a venire, È una clientela molto, molto antica. Quindi a noi dispiace approfittare di questo periodo di opulenza del tartufo per guadagnarci su un cliente che viene tutto l'anno. Evito la fonduta, anche se ti dà, però la fonduta non è, la evito, ma la faccio, è un piatto valdostano in tutti i modi. Con i tajarin lo consigliamo e con l'uovo, quelli sono i due piatti che noi preferiamo nel modo più assoluto servirlo. E vediamo che la gente è contenta, a volte fa il bis di tagliatelle per grattare ancora tartufo. Io personalmente non ho mai visto né mia madre né mia nonna cuocere il tartufo, l'ho letto appunto su questo libro, il Vialardi, che cuocevano il tartufo con acciughe addirittura, non so che misto di sapori, che poi il tartufo cotto non l'ho mai fatto, ma credo che perda il profumo rispetto a quello crudo, specialmente sull'uovo che esalta veramente il profumo. Ma per un cuoco, secondo me, il tartufo è un valore aggiunto perché per un cuoco che si fa un mazzo così a preparare tante cose, è vero che questo è un prodotto assolutamente raro, della terra, costa fatica, costa nottate, giornate di ricerca, però è un valore aggiunto, perché un buon piatto di tajarin, anche in bianco, anche in burro e salvia, oppure un ragù d'anatra o altro, è già buono così. È chiaro che il tartufo essendo prezioso forse dà più valore. Secondo me se costasse poco, la gente non correrebbe così tanto. Noi non teniamo il tartufo in vetrina" (VDCN: ANCTV028). "L'identità gastronomica di questo territorio, sì perché è la terra che produce il tartufo, sono le piante che produce il tartufo. Io credo che le rocche che ci sono nel Roero, e questa è l'ultima parte del Roero astigiano, Cisterna d'Asti però come morfologia del terreno è del Roero. Se uno va già a Villafranca, il gusto del tartufo credo sia già diverso. Quindi noi siamo più legati per la gastronomia e per certi profumi verso il Roero, verso l'Albese che non verso il Monferrato. Ma è andar a cercare il pelo nell'uovo perché tutti dicono che le trifule delle rocche sono in assoluto le migliori. Poi non so se lì ci siano dei campanilismi o meno. Però in tutti i modi se voglio dirla tutta è una cosa importante per la cucina, sicuramente sì, sicuramente sì" (VDCN: ANCTV029). I saperi relativi alla ricerca e alla raccolta del tartufo costituiscono un complesso patrimonio di conoscenze, pratiche e narrazioni che appartengono soprattutto alle generazioni più anziane. Saperi, oggi a rischio di estinzione, che vanno raccolti, archiviati e comunicati al fine di consegnare alle future generazioni queste preziose conoscenze, altrimenti destinate all’oblio. La schedatura intende investigare l’esperienza vissuta dai protagonisti della cultura del tartufo e i saperi orali e gestuali, le narrazioni intimamente connesse a tale prodotto della terra. Il tartufo nel suo essere un frutto doppio, nasce sottoterra, muore sulle tavole; è duro esternamente e tenero internamente, tanto che Molière ne ha fatto il simbolo dell’ipocrisia, proprio per la sua doppiezza. Anche nella cucina il tartufo è doppio; da un lato c’è una cucina popolare che ha sviluppato una gastronomia in cui collega il tartufo a piatti tradizionali, come il risotto o l’uovo al burro che ne esaltano le proprietà, dall’altro una cucina aristocratica che sperimenta per il tartufo accoppiamenti audaci come il cioccolato, i crostacei. La cultura del tartufo non può essere avulsa dal suo ambito culturale, il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico), che si raccoglie nelle colline del Piemonte meridionale, è avvolto da credenze e misteri non ancora dissipati e rappresenta indubbiamente uno dei più rilevanti tratti della biodiversità e dell’etnodiversità, della cultura, delle tradizioni e dell’identità delle colline del Piemonte meridionale e specificatamente dell’Albese a cui si rifà la cucina popolare. Al contrario della gastronomia aristocratica che tratta il tartufo soprattutto come un prodotto gastronomico, depauperandolo dal suo contesto. E’ questo un filone che avuto forse il suo maggior rappresentante in Jean-Anthelme Brillat-Savarin, questi ha parole di elogio per il tartufo di queste colline: "In Piemonte ci sono i tartufi bianchi, che sono molto pregiati; hanno un leggero sapore d'aglio che non nuoce affatto alla loro perfezione, perché non produce mai uno sgradevole ritorno alla gola" (Brillat-Savarin, 2014, p. 114). Un riconoscimento che ritroviamo in tanti studi sui caratteri culturali delle regioni italiane: "[...] l'autunno è profumato di tartufi un po' dappertutto, per quanto Alba ne rivendichi il primato [...]. Del resto sono notissimi ortaggi e tartufi, anche di Asti [...]" (Bernardy, 1926, p. 98). Questa linea che possiamo chiamare di gastronomia aristocratica inizia già nel Seicento, quando lo speziale astigiano Guglielmino Prato annota in un prezioso libretto che: "Trovasi per tutto in Piemonte dè buoni tartuffoli, e massimamente in l'Astesana havvine maravigliosa abundanza, onde tutto il paese ne resta grandemente provisto, e fassene qualche estratione col Milanese, massimamente per le tavole de' più grandi e golosi potentati" (Prato, 1996, p. 131).

Cisterna d'Asti (AT), Italia Regionpiemonte