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Fonte: Atlante delle Feste Popolari del Piemonte / Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – UniSG
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Feste popolari

Processione del Giovedì Santo - Andare a suonare

La sera del Giovedì Santo, secondo un’antica tradizione, si svolge il rituale chiamato dai balmesi 'alà a sunaìa' (andare a suonare).

Un tempo la manifestazione si chiamava ‘Festa díi Djudè’ (festa dei Giudei), ed era una delle più importanti di tutto l’anno. Per l’occasione gli uomini indossavano la pesante giacca di lana riccamente ricamata del costume locale e un ramoscello d’ulivo sul cappello nero di feltro; per questo venivano chiamati ‘li Djudè’ (i Giudei). Quelli del concentrico si radunavano nei pressi del Routchàss (abitazione forticata nel centro del paese), quelli delle frazioni Cornetti Chialambertetto e Moletto al Crosèt, nel versante opposto della valle.

Scambiatosi un richiamo sonoro con le túbess (particolari campanacci acquistati in Savoia) e le lumàssess (lumache, ovvero grandi conchiglie marine forate per essere suonate come corni), i due gruppi confluivano sul ponte sullo Stura, dirigendosi quindi in chiesa per la messa. I suonatori prendevano posto sui gradini ai lati dell’altare e “quando il sacerdote leggeva la Passione, sonagliavano con le conchiglie e con i campanacci tutti assieme. Ne veniva un rumore terribile, al punto che la gente restava come angosciata e questo denunciava l’azione orribile che era stata commessa contro Nostro signore” (Inaudi, 2001, p. 14). Al termine della funzione cominciavano ad agitare i campanacci e suonare le conchiglie, uscendo dalla chiesa. Si formava quindi la processione aperta dalla priora di Balme che portava lo stendardo con raffigurata la Vergine, seguita da due ragazze coi lanternoni, in mezzo alle quali procedeva la priora dei Cornetti con l’ostensorio; dietro le donne, i bambini in fila per due, un ragazzo con la croce, il sacerdote che guidava la preghiera, gli uomini e, a chiudere, i Giudei. Il corteo raggiungeva la cappella di Sant’Urbano e quindi rientrava in chiesa. Conclusa la funzione religiosa gli uomini, suonando i loro strumenti, iniziavano la festa profana e, per certi versi, trasgressiva, in netto contrasto con la liturgia della Settimana Santa; fino a tarda notte compivano il giro delle osterie, sostando in ognuna: “si beveva vino e l’euforia cresceva rapidamente, anche perché la gente era a quell’ora a digiuno e le osterie in cui sostare erano assai più numerose di adesso” (Inaudi, 2001, p. 9)

Nel marzo 1887 un Manifesto di polizia, emesso dal sindaco per ordine del questore della provincia di Torino, impartiva precise disposizioni al fine di evitare disordini nella Settimana Santa:

“1° Resta proibito nella suddetta Settimana santa portare sonaglie in chiesa ed alla processione del giovedì a tutti quei giovani che sono di età maggiore di anni tredici, come anche di non far strepito in altro modo.

2° Tutti quei giovani minori di tredici anni che verranno colle cosiddette sonaglie e corni in chieda sono severamente proibiti di disturbare in qualunque tempo e modo le sacre funzioni e di alzare in maniera insultante verso chiunque le cosiddette sonaglie.

3° In tempo della processione del Giovedì Santo, tali giovani che avranno sonaglie, corni, dovranno andare avanti ai due sergentini che guideranno la processione sino alla cappella si Sant’Urbano, senza scostarsi dalla strada, dove cesseranno lo strepito fino a che la processione ritorni indietro e allora si incammineranno avanti ai detti sergentini e con questa conformità entreranno in chiesa, senza mente fermarsi in piazza, dove faranno silenzio finché sia terminata la predica e nell’uscire poi dopo la predica terranno le sonaglie in maniera bassa e passando dalla parte degli uomini e senza trattenersi sulla porta a fare insulti fileranno in piazza.

4° Durante detta Settimana Santa resta d’ora in avanti severamente proibito a chiunque recarsi a sonagliere e altri strepiti nelle borgate non rispettivamente proprie, come anche resta proibito di fare strepito dopo le otto ore di sera.

E si spera che tutti siano ubbidienti alla sopra detta ordinanza”.

Negli anni successivi il parroco proibì ai suonatori di entrare in chiesa, anche perché alcuni di questi portavano la conchiglia piena di vino che bevevano durante la funzione. “È possibile che don Didier, ancora ricordato come austera e rigorosa figura di ecclesiastico, di maestro e di scienziato , dopo anni di sopportazione (fu parroco dal 1873 alla morte avvenuta ne l 1892) non abbia voluto accettare ulteriormente il perpetuarsi di un rito irriverente, come avevano invece fatto i sacerdoti che lo avevano preceduto, tutti originari della Valle o addirittura di discendenza balmense” (Inaudi, 2001, p. 20).

Tra le due guerre mondiali, la manifestazione perse gradualmente il suo carattere religioso, per mantenere solamente quello profano.

Oggi, nel tardo pomeriggio i giovani del paese perpetuano quella antica tradizione, riunendosi, come i loro avi, in due gruppi, il primo nel piazzale antistante la chiesa parrocchiale, il secondo, nel versante opposto della valle, all’ingresso della frazione Conetti, nel luogo detto Crestèt.

Ogni ragazzo è munito di uno “strumento musicale”, che può essere un campanaccio da vacca o da capra, un corno di stambecco o di caprone, una grossa conchiglia marina, opportunamente bucata per emettere il suono. Con questi strumenti i due gruppi si lanciano vicendevolmente una serie di richiami. “Successivamente quelli dei Cornetti attraversano il torrente Stura e raggiungono gli altri. Il gruppo allora, sempre strepitando, risale la strada principale del capoluogo, facendo sosta nei diversi caffè. Entrano, agitano furiosamente i campanacci, danno fiato alle conchiglie e ai corni producendo un frastuono indescrivibile, finché a un certo punto smettono di colpo. Il proprietario offre loro da bere e il gruppo si sofferma per qualche tempo, chiacchierando nell’antica lingua del luogo, il patois” (Inaudi, 2001, p. 9). Oggi, invece del vino vengono consumate quasi esclusivamente bevande analcoliche.

Arrivato nella parte più alta del paese, dopo la sosta al Caffè Nazionale, il gruppo, rispettando il percorso stabilito dalla tradizione, transita nel piazzale dello storico Hotel Camussòt (chiuso negli anni Novanta) e quindi scende lungo gli stretti vicoli della parte più vecchia di Balme, fino a raggiungere La Barma, in promontorio roccioso che domina la valle. Dopo una suonata al ripiano erboso detto tchàrma dou rat (prato del topo) i ragazzi scendono attraverso i prati fino a raggiungere la strada, per poi risalire alla frazione Cornetti, che viene attraversata sempre suonado, fino al locale bar, per l’ultima bevuta.

BALME (TO), Italia Regionpiemonte
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