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Fonte: Atlante delle Feste Popolari del Piemonte / Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – UniSG
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Feste popolari

Festa di san'Antonio abate

Nell’arco di poche generazioni il culto di Sant’Antonio abate a Trecate, una cittadina di circa 20.000 abitanti in provincia di Novara, è cambiato in molti aspetti, adeguandosi sempre di più ai tempi e agli stili di vita di una comunità dal passato contadino.

Sant’Antonio abate nacque intorno al 250 a Coma (attuale Qemas), località posta sulla riva occidentale del Nilo del Medio Egitto. All’età di vent’anni, rimasto orfano di entrambi i genitori, decide di vendere la propria parte di eredità per iniziare, nel deserto della Tebaide, una vita caratterizzata dall’ascetismo.

Fin dall’inizio si dedicò totalmente alla preghiera, al lavoro e alla lettura delle Sacre Scritture, e fu perseguitato da tentazioni diaboliche, da pensieri osceni e terrificanti visioni.

La notizia delle tribolazioni superate e la fama delle virtù dell’asceta iniziarono a diffondersi cosicché, diversi discepoli cercarono in lui una guida e, in breve tempo, si costituirono sulle sponde del Nilo due monasteri. Oltre ad istruire, Sant’Antonio consolò gli afflitti e iniziò a liberare gli indemoniati.

Nell’arco della sua lunga vita, condotta nella solitudine del deserto, il numero dei miracoli e delle guarigioni ottenute si moltiplicò, così come le visioni del divino e le profezie; in una di queste predisse la sua morte che, come annunciato, avvenne il diciassette Gennaio del 356.

Il luogo della sepoltura rimase segreto finché un crociato, molti secoli dopo, trasportò le sue reliquie a Motte-Saint-Didier in Francia, dove venne costruita in suo onore una chiesa consacrata da Papa Callisto II nel 1119.

Qui affluivano folle di malati affetti da ergotismo cancerogeno, avvelenamento causato da un fungo presente nella segale, un morbo conosciuto come “ignis sacer” per il bruciore che provocava.

Data la continua affluenza di fedeli al luogo si decise di costruire un ospedale intorno a cui nacque la confraternita dell’Ordine Ospedaliero degli Antoniani; fu in quest’occasione che il Papa diede la possibilità di allevare i maiali per uso proprio, questi permettevano alla popolazione e ai fedeli di disporre di cibo e fornivano all’ospedale il grasso necessario per la cura dell’ergotismo. Tale malattia iniziò così ad essere chiamata “male di Sant’Antonio” e successivamente “fuoco di Sant’Antonio”, o meglio “herpes zoster”.

Tale uso popolare iniziò a rispecchiarsi nell’iconografia del Santo, fra i vari attributi che caratterizzano la sua immagine compaiono, infatti, un maiale e il fuoco. Mentre entrambi si ricollegano alla malattia, il simbolo delle fiamme si lega al fatto che il Santo, durante il processo di cristianizzazione, iniziò ad assumere la funzione di “custode dell’inferno” e di “padrone del fuoco”, diventando colui che poteva salvare le anime destinate alla dannazione.

Sant’Antonio abate però, per le peculiari esperienze di vita, è invocato anche per la buona riuscita delle attività agricole; la tradizione, infatti, racconta che negli ultimi anni di vita, il Santo coltivasse un orticello che i diavoli, in forma di fiere, devastavano. Egli però, in nome di Dio, riusciva sempre a scacciali.

In quanto protettore delle attività agricole e degli animali domestici e da lavoro, Sant’Antonio abate rientra fra i santi venerati a Trecate, cittadina dal passato e dalla tradizione contadina.

Risulta infatti che, già nell’800, una sosta delle Rogazioni Minori era dedicata al Santo per invocare la sua protezione; si svolgeva nell’oratorio della Cascina Bettole, dedicato all’asceta e a San Francesco da Paola, ora sconsacrato.

Le messe in onore del Santo vennero e sono tuttora officiate nella chiesa di San Rocco, altro santo venerato dagli agricoltori.

Nella giornata di ricorrenza il parroco esaltava le virtù e i valori umani che avevano fatto la grandezza del Santo e durante la messa solenne i rappresentanti degli agricoltori offrivano i prodotti della terra. Al termine della celebrazione venivano organizzati dai contadini i festeggiamenti, alla cui preparazione tutto il paese dedicava diverse settimane.

Le famiglie, infatti, preparavano i tortelli e le chiacchiere e i rioni gareggiavano per realizzare il falò più grande e con le fiamme più alte.

Per prepararlo, diversi giorni prima della festa, i ragazzi percorrevano le vie e i cortili della paese in cerca di legna da bruciare; la richiesta veniva recitata dai giovani in strada:

“Limòþna par Sônt Antòni.

S’i dèna mia ara fasina,

Sônt Antòni a fa muriva ara vaca e ara biscina”.

“Elemosina per Sant’Antonio.

Se non ci date della legna,

Sant’Antonio vi fa morire la mucca e la vitella”.

Gli abitanti del rione si ritrovavano intorno al falò acceso, mangiavano carne di maiale e altri piatti preparati per l’occasione e, recitando orazioni per il Santo, si scaldavano alternativamente la schiena e il torace perché si credeva che il calore del fuoco avrebbe guarito i reumatismi.

All’abbassarsi delle fiamme i ragazzi, e qualche atletico adulto, gareggiavano per saltare il fuoco (era ritenuto un gesto scaramantico) e la cenere veniva conservata per benedire le stalle e le case, cosicché il Santo potesse proteggerle dalle sciagure e dalle malattie.

Con il tempo, il culto e i festeggiamenti in onore di Sant’Antonio abate sono andati diminuendo, le ragioni di questo declino sono diverse, ma principalmente legate al cambiamento dei tempi, delle abitudini e dei costumi della società.

La rapida costruzione di nuovi edifici e l’aumento del numero di strade asfaltate, ha infatti ridotto gli spazi disponibili per la realizzazione di un falò in completa sicurezza. Esiste però una causa più profonda per spiegare il declino della festa: ciò che ha contribuito in modo determinante all’allontanamento della popolazione dalle tradizioni e dalle credenze legate all’agricoltura e all’allevamento, e perciò al culto del Santo, è la rapida industrializzazione che ha vissuto il paese nel secondo dopoguerra.

La volontà di riportare in vita un momento parte della tradizione contadina è sempre stata viva e si è concretizzato, negli ultimi anni, nella manifestazione “La giornata del Ringraziamento” organizzata, nella giornata del diciassette Gennaio, dall’Amministrazione Comunale e dalla Parrocchia Santa Maria Assunta.

Il programma ha inizio alle ore 10,30 con la celebrazione della Santa Messa presso la chiesa di San Rocco al termine della quale l’Arciprete impartisce la tradizionale benedizione degli animali domestici e dei mezzi agricoli che, oggi, hanno sostituito nei campi gli animali da lavoro.

Gli agricoltori del paese si ritrovano poi presso un ristorante locale per festeggiare, con le autorità comunali, il Santo e i buoni risultati ottenuti con il duro lavoro nei campi.

Verso il tramonto, nel cortile di alcune abitazioni e in alcuni campi vengono accesi dei falò ma, quello più grande e il festeggiamento più spettacolare è, ormai per tradizione, da alcuni anni, organizzato dall’associazione “Gruppo Trecatese Amici ‘52” in un campo discosto dalle altre abitazioni di via Sozzago.

L’accensione del falò è preceduta da un momento musicale e da una rappresentazione: la “Banda Musicale Trecatese” suona alcune brani della tradizione popolare e, verso il campo in cui è già pronta la catasta, si incammina una processione di frati che, muniti di torce, recitano “litanie” a carattere scherzoso, chiudono il corteo un gruppo di giovani donne del gruppo teatrale “Spazio Scenico” in abiti campagnoli.

Arrivate vicino all’enorme catasta di legno, queste iniziano a ballare intorno al Santo rappresentando una delle tentazioni carnali di cui fu vittima nel deserto; successivamente Sant’Antonio lotta contro il Diavolo, e la vittoria dell’asceta sul male segna l’inizio dei festeggiamenti.

L’accensione del falò avviene tramite le frecce infuocate scoccate dai membri dell’“Associazione Arcieri Trecate”; questi sono aiutati dai frati che, con alcune torce, incendiano i quattro lati del falò affinché il fuoco bruci tutta la catasta.

La serata prosegue con i fuochi d’artificio sparati nel cielo dal “Gruppo fuoco” e con la riscoperta di un’altra usanza trecatese: il “cenino”, a’ scinìhc.

È un pezzo della tradizione paesana resa attuale dal “Gruppo Trecatese Amici 52” che offre ai compaesani vin brulé, tè caldo, tortelli, chiacchiere, panettone, salamelle, costine ed altro ancora. In questa occasione inoltre è possibile gustare a’ casansìch; un dolce tipico trecatese preparato con farina di granoturco, grasso d’oca e fichi.

La festa di Sant’Antonio, in questo modo, rappresenta un chiaro gesto d’impegno per tramandare le antiche tradizioni paesane alle generazioni future cosicché, una cultura antica e legata al territorio, possa perpetuarsi nel tempo.

Per l’impegno profuso si deve ringraziare gli organizzatori che hanno trasformato gli antichi usi in un’occasione di divertimento e in un momento speciale in cui la comunità può ritrovarsi e condividere la cucina locale in cui sacro e profano si bilanciano. Un sapere legato alla tradizione popolare di tipo agreste potrà essere così tramandato alle generazioni future di un mondo moderno.

TRECATE (NO), Italia Regionpiemonte
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