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Mirella Agù

Mirella Agù

 Mirella Agù, classe 1973, appartiene a una famiglia di Crissolo, margari e pastori da più generazioni. I suoi nonni nel 1957 era venuti negli alpeggi di Chianale, nell’alta Val Varaita, alla ricerca di nuovi pascoli e vi tornano tuttora ogni estate. La testimonianza inizia con alcuni ricordi d’infanzia, quando Mirella veniva trasportata nella cabassa (basto) del mulo e quando dormiva con la nonna nella flera, in una baita alpina, con la paura dei topolini e, se pioveva, dell’acqua che gocciolava copiosa, attraverso il tetto, su letto.Sottolinea che quella del margaro è un’attività impegnativa, che deve piacere, non si può improvvisare e richiede giornalmente molte ore di lavoro. Gli animali sentono quando si avvicina il momento della partenza, soffrono il caldo della pianura e sembrano chiedere di essere portati in montagna. La partenza per l’alpeggio, dove la mandria rimarrà fino a ottobre, avviene a San Giovanni ed è impegnativa per preparare le scorte e organizzare il viaggio con i camion. Per evitare il caldo, gli animali vengono caricati di notte, in modo da arrivare a Chianale verso le 7 del mattino. Il pascolo avviene inizialmente nei prati più in basso, per salire progressivamente in quelli a più alta quota alla ricerca di erba fresca. Mirella evidenzia che i pastori riconoscono le mucche per nome e che gli animali rappresentano un valore non solo economico, ma anche affettivo (molti capi vengono tenuti fino a 15-16 anni) e vengono accuditi con ogni attenzione. In caso di malattie usano sia erbe naturali (come la genziana contro la stitichezza), sia antibiotici e farmaci in vena, sino a richiedere l’intervento del veterinario nei casi più gravi. Il racconto prosegue con la descrizione dell’attività in alpeggio, che inizia attorno alle 6 del mattino con la mungitura in parte manuale e in parte a macchina, il controllo dei vitelli e delle vacche prossime al parto; quindi prosegue con il trasporto del latte nel caseificio e la sua lavorazione per la preparazione dei formaggi (tomini, ricotta, nostrale) e ora anche dello yogurt. Dopo pranzo e talora una breve pennichella, riprende la lavorazione dei formaggi e alla sera la mungitura che richiede due ore e mezza e che si conclude attorno alle 22. Mirella sottolinea che per valorizzare il formaggio tipico, su iniziativa della Provincia di Cuneo, è nata l’associazione “Nostrale d’alpe”, che fornisce i marchi da applicare alle forme prodotte esclusivamente nel periodo da San Giovanni a San Michele. Evidenzia i problemi legati all’affitto degli alpeggi di proprietà del Comune, assegnati con bandi spesso ad appannaggio di grossi allevatori coi quali il piccolo margaro non è in grado di competere, e degli alpeggi di privati, spesso indotti a credere nei grandi guadagni dei margari, che in realtà non sussistono. Sottolinea anche che i contributi pubblici hanno deteriorato il mercato e leggi sbagliate favoriscono i grossi allevatori.  La testimonianza prosegue nel ricordare che la vita del pastore non è così semplice come può apparire: occorre affrontare il tempo brutto, accudire gli animali fino a 2500 m, dormendo in una tenda. La mandria viene divisa in gruppi: vicino a casa vengono tenute le vacche che devono partorire, le mucche da latte al mattino salgono nei pascoli e alla sera ridiscendono, un altro gruppo di manze e vacche gravide (ma che partoriranno più avanti) sono condotte da un pastore nomade a più alta quota.Tornando a parlare di ricordi di un tempo, Mirella narra un episodio paranormale del 1944 accaduto a suo padre Chiaffredo quando aveva 4 anni: il papà lo aveva portato sul basto fino all’alpe Furnai, di fronte a Crissolo, ma quando era tornato a casa il piccolo non c’era più. Si misero a cercarlo e andarono anche a Barge da una persona che si diceva indovino. Infine il bimbo venne ritrovato e disse che aveva incontrato quattro donne vestite di nero che gli avevano dato pere e vino e lui aveva camminato tanto perdendo anche uno zoccolo: in segno di ringraziamento a San Chiaffredo, nel luogo in cui era stato ritrovato il bimbo venne costruito un pilone votivo. Mirella ricorda che la sua famiglia è molto devota a questo santo e ogni anno nel santuario fa celebrare una messa per la protezione ricevuta nel periodo dell’alpeggio. In occasione della festa si svolge con processione nella quale viene portata la reliquia del santo e al termine viene offerto ai tanti partecipanti un rinfresco.Tornando al periodo dell’infanzia, Mirella ricorda che da bambina andava ad aiutare a mungere e poi il latte veniva trasportato a valle coi muli e asini e in seguito in tubi di pvc; andava anche al pascolo, ma aveva il terrore che le mucche le scappassero. La testimonianza si conclude accennando alla tradizione dei rudon (campanacci). Questi vengono appesi al collo delle vacche (che le sopportavano malvolentieri) solo in occasione della transumanza e della fiera di Ponte Chianale, cui partecipano tutti i margari con i loro prodotti. Quando ci sono stati decessi in famiglia, per consuetudine non si mettono i rudon, ma una sola campana con un fiocco nero legato alle corna della mucca, in segno di lutto.  Questa testimonianza è stata raccolta per conto della Provincia di Cuneo - Settore Politiche Agricole, Parchi e Foreste nell'ambito di un accordo di collaborazione con l'Unisg volto a creare l'archivio L'agricoltura cuneese fra tradizione e innovazione.   

Pontechianale (CN), IT Regionpiemonte
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