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Fonte: Atlante delle Feste Popolari del Piemonte / Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – UniSG
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Feste popolari

Carnevale - Danza dell'arlecchino

"A Limone: il 'curel', l'arlecchino, il turco e la turca, il giardiniere e la giardiniera, il dottore, il giustiziere, 'Zandumeni carluvor', 'lu veciu e la vegia', 'l'ampudrur' - testamento di Zandumeni - esecuzione capitale - festa all'albergo" (Milano, 2005, p. 78)

"Il 'curel' - il 'turch' - la 'turca' - 'zardinier' e 'zardiniera' - 'zapadur' e 'zapadura' - 'lu medi' - 'lu lisard' - 'Barba vecc' e 'Magna vegia' - Zandumeni Carluvor' - 'la siringa' - 'l'ampudrur' - 'lu panocc', ecc... ecc... (molto interessante)" (Milano, 2005, p. 86).

"...a Limone è solo da ricordarsi il Carnevale, tradizionale e caratteristico. Alla festa prendono parte giovani e adulti e vengono rappresentati i personaggi seguenti:

1. verso le due pomeridiane esce il cosiddetto 'Curel' (ballerino della vallata), caporione della festa, seguito dal rullo del tamburo, fa un giro attorno al paese, spiccando un saltetto ogni tre passi che fa, ead ogni angolo delle strade segna coi passi una circonferenza che indica il sito dove i suoi compagni, che egli raccoglie gradatamente nelle loro abitazioni o in alberghi dovranno poi ballare la tarantella tutti assieme al suon di musica. E' vestito in caratteristico e bellissimo costume, forse sicuramente conosciuto solo a Limone, tiene una spada a punta rivolta in sù e col braccio che la porta steso in avanti; è l'unico della società che non deve aver maschere. Finito il suo primo giro, dall'albergo dove è data la cena che avrà luogo la sera seguita da ballo, si congiunge a lui

2. l''Arlecchino' che si tiene dietro al 'curel' saltando continuamente e battendo sulle mani un arnese a mo' di nacchera, con più campanelli attaccati ai fianchi del suo vestito variamente colorato, con maschera completamente nera. Facendo assiem il giro del paese, ad ogni angolo di strada, al rullo del tamburo, ballano il cosiddetto 'rigudun' e quindi, uno di fronte all'altro, spiccano contemporaneamente tre salti, più alti possibile. Ai giri che seguono si associano, gradatamente, a coppie:

3. il 'Terch' e la 'Terca' (turco e turca), vestiti elegantemente a mo' di sultano e sultana orientali,

4. 'zardiner' e 'zardinera' (giardiniere e giardiniera), rappresentanti i fioristi e vestiti anch'essi con eleganza curiosa;

5. 'zafadur' e 'zafadura' (cacciatore e cacciatrice), il primo veramente vestito alla cacciatora a colori vivaci e tenendo anche il fucile, la seconda vestita da elegante contadina con artistico canestro al braccio adornatodi nastri e verzure, dove si dovrebbe deporre la cacciagione;

6. 'lu medi' (dottore), che distribuisce ricette alle giovani del paese, vestito all'antica, senza cappelllo e con una gran parrucca;

7. i due garibaldini veramente così vestiti e sempre insieme;

8. 'lu lisord' (giustiziere), elegantemente vestito, con pantaloni a color differente, per ogni gamba, rappresenta forse un soldato romano che alla sera taglia la testa ad un fantoccio che si chiama

9. 'Zandumeni carluvor', portato in corteo incatenato ad una sedia, con un cartello sulla schiena sopra cui è scritto: 'Gian Domenico Carnevale, condannato a morte'.

I sopraccennati vanno sempre insieme, ballando la tarantella a suon di musica, ad ogni angolo delle vie già fissato dal 'curel'. Sparsi pel paese, ma che però fanno anche parte della comitiva, vi sono:

10. 'Barba vecc' e 'Magna vegia' (vecchio e vecchia), vestiti veramente all'antichissma e che fanno continui movimenti buffi. Rappresentano il padre e la madre del bambino soprannominato 'Zandumeni carluvor' (Gian Domenico carnevale);

11. 'la siringa' che ha scritto sulla schiena 'Lavamenti a gratis' ed infatti con una lunga siringa piena d'acqua fresca, a quelle povere donne cui arriva per di dietro senza essere visto, dà per di sotto, certi lavamenti che potrebbero anche condurre a seri inconvenienti;

12. 'l'ampudrur', che vestitoi di bianco, rappresenta il mugnaio e tiene una tasca piena di crusca che, saltando addosso agli uomini e togliendogli il cappello, getta a loro sulla testa e pel collo, spiccando poi un salto in segno di beffa davanti al malcapitato (ampudrur = che incipria);

13. 'lu panocc' rappresenta il fornaio che tenendo sulle spalle l'arnese per pulire il forno, se ne serve per far largo dove deve ballare l'accennato corteo.

Però queste tre ultime maschere siccome portavano per lo più inconvenienti, da qualche anno non sono più permesse. Anche sparse per il paese vi sono poi altre maschere ridicole:

14. gli zingari,

15. l'uomo selvaggio e

16. l'orso.

Alla sera si riuniscono tutte insieme sulla piazza del Municipio e, dopo aver ballato qualche tarantella sempre a suon di musica, viene preparato un piccolo palco illuminato da candele. Una maschera vestita in nero e col cilindro e che vorrebbe rappresentare

17. il notaio, dà lettura del buffo testamento del 'Zandumeni' condannato a morte, posto in mezzo al circolo formato dalle altre maschere; ai piedi di questo bambino trovasi il 'barba vecc' e 'magna vegia' che piangono per la condanna del figlio. A fianco trovasi il 'lisord' (o 'lisard') con la spada sguainata, pronto a tagliare la testa al fantoccio quando è finita la lettura del testamento con le parole: 'A losciu, a loscio, a un sudò d' gara / can campa la testa 'n tara!' (lascio a un soldato di guerra / di gettarmi la testa per terra).

Mentre il soldato taglia la testa il notaio grida ancora: 'Finalmente poi' e la folla risponde ad una sola voce: 'La pulenta coi'. Quindi il 'lisard' infila la testa tagliata sulla spada, appiccicandovi fuoco, e nuovamente in corteo, solo al rullo del tamburo, si avviano all'albergo dove è stata ordinata una cena conviviale, seguita da un ballo che dura fino alle prime ore del mattino del giorno dopo, e la maggior parte delle ballate sono 'tarantelle' e 'spusin' (Milano, 2005, pp. 91-93).

Il 18 febbraio 1958, nella sua 'Cronaca di Limone', Giovanni Battista Marro, a proposito del carnevale scrive: "Allora tutto il paese era in festa, in agitazione. le contrade, dalle prime ore del pomeriggio all'imbrunire, erano affollate da gente che aspettava la sfilata delle maschere. Ora più niente di questo. Il carnevale dell'anno 1946, responsabile del gravissimo incidente allora verificatosi e riportato a suo tempo nella presente cronaca, è stato il sotterratore di se stesso. D allora non si è più ripreso e forse non si riprenderà mai più. Perciò, allo scopo di tramandarne il ricordo, credo opportuno di scrivere acluni brevi cenni sul modo in cui si svolgeva questa tradizione carnevalesca. Ne era il capo, che veniva chiamato 'curòl', un giovane di alta statura, vestito di ricco e caratteristico costume. Lo andava ad indossare nello esercizio dove alla sera si sarebbe cenato e ballato. Era l'unico che non portasse la maschera in viso. Usciva da tale esercizio verso le 14 solo seguito da un tambutino non mascherato. Armato di sciabola, che portava verticalmente come si porta una fiaccola accesa, faceva il giro del paese, col passo cadenzato al rullo del tamburo. Una turba di ragazzi gli andava dietro, mentre la folla faceva ala al suo passaggio e commentava. Si recava poi in un altro esercizio a prelevare Arlecchino. Questi lo seguiva saltellando. teneva nella mano destra un arnese di legno, chiamato 'tic-tac', col quale batteva ritmicamente sul palmo della mano sinistra. Ai crocicchi delle strade si fermavano per fare una ballata al rullo del tamburo, ballata cosidetta 'rigudùn' nel dialetto limonese. Alla fine di essa facevano tre salti. Riprendevano il loro itinerario per portarsi presso l'osteria dalla quale sarebbero usciti insieme a due maschere vestite alla turca e denominate perciò 'turc' e 'turca'. Apriva la marcia il 'curòl', poi veniva 'arlecchino' sempre saltellante, ed infine, a braccetto e composti, i due 'turchi'. Li accompagnavano ora i suonatori che si erano uniti al tamburinoSi fermavano sempre ai posti fissi e iniziavano una monferrina chiamata 'curanta' in limonese. La ballavano in tre mentre 'arlecchino'saltellava loro intorno tenendo indietro la folla curiosa. Si recavano ancora in altre osterie a prelevare maschere d'ogni genere, vestite in varie foggie e costumi. Formavano così un gruppo numeroso che seguitava a fare il giro del paese ballando sempre alle solite fermate. Portatisi infine nell'esercizio in cui si doveva cenare, ne uscivano con l'ultima maschera, così detta 'lesard', che era incaricata di uccidere il carnevale. Veniva intanto fatto per l'ultima volta il giro del paese. Poi, all'imbrunire, si portavano sul piazzale antistante la canonica, dove avveniva la scena della decapitazione. Deponevano al centro il fantoccio 'Zandumeni' che aveva sempre accanto il suo carnefice. Gli facevano corona tutti i mascherati, adesso col viso scoperto. Ai suoi piedi stavano sedute due vecchie maschere 'Barba vecc' e 'Magna vegia', le quali piangevano e facevano lamenti per il loro vecchio 'Zandumeni' ch'era condannato a morte. Saltellando, 'Arlecchino' teneva lo spiazzo libero dal pubblico molto numeroso. Intanto su un palco si era insediata la maschera che aveva l'incombenza di leggere il testamento di 'Zandumeni'. Ai suoi fianchi stavano i due 'Turchi' i quali facevano luce con due candele per facilitarne la lettura. Il testamento, scritto in dialetto limonese, veniva letto con una certa cantilena e a voce alta e chiara perchè fosse ben capito. Essendo fatto in maniera umoristica, le risa e le grida delle maschere e di tutti i presenti erano assordanti. Da ultimo vi si leggeva la condanna alla decapitazione di 'Zandumani'. A questo punto 'Lesard' con un colpo deciso della sua arma gli tagliava la testa che rotolava a terra. Subito veniva raccolta, messa in cima alla sciabola ed incendiata. In questo modo era portata, come un trofeo di guerra, fino ai due ingressi del paese con tutte le maschere in corteo. Poi si recavano a cena, dopo la quale aveva inizio il ballo che durava tutta la notte. L'apertura del ballo veniva fatta da una coppia sola: dal 'Curòl' che era il capo re da una donzella.loro due soli eseguivano la prima danza, cioè 'la curanta', tradizionale anche questa di Limone" (Marro, 1938-1970).

LIMONE PIEMONTE (CN), Italia Regionpiemonte
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